I PFAS, o perfluoroalchilici, sono composti chimici non presenti naturalmente nell’ambiente che vengono utilizzati per produrre materiali resistenti all’acqua e ai grassi. Si tratta di sostanze presenti in numerosi prodotti di consumo quotidiano, come padelle antiaderenti, detersivi, tessuti impermeabili, contenitori per alimenti (come ad esempio i sacchetti delle patatine), pesticidi ed insetticidi.
Gli scarti di produzione, altamente inquinanti e persistenti, hanno contaminato le falde acquifere di numerosi Comuni in quattro province venete (in particolar modo Vicenza, Padova e Verona), interessando più di 400.000 persone e circa 200.000 abitazioni. Tramite esami clinici è stato rilevato che gli i residenti nelle zone maggiormente contaminate presentano nel sangue valori di PFAS 20 o 30 volte superiori alla media.
I PFAS sono costituiti da catene fluorurate di un numero variabile di atomi (da 4 a 12). Per molti anni i PFAS più utilizzati sono stati quelli a 8 atomi di carbonio, particolarmente persistenti nell’ambiente e bioaccumulabili, come PFOS (perfluorootaansulfonato) e PFOA (acido perfluoroottanoico).
A causa della loro persistenza ambientale e alla possibilità di accumularsi negli organismi dove permangono per periodi prolungati, a partire dagli anni 2000 alcune ditte produttrici hanno previsto l’interruzione della produzione e la sostituzione di PFOA e PFOS, cambiando i processi di produzione e riducendo il rilascio e il livello di questi composti a 8 atomi di carbonio.
I PFAS a catena lunga sono stati sostituiti da PFAS a catena più corta (6 o 4 atomi di carbonio) tra cui: l’acido perfluorobutanoico (PFBA), l’acido perfluoroesanoico (PFHxA), e l’acido perfluorobutan-sulfonico (PFBS), che nelle applicazioni industriali hanno proprietà simili a PFOS e PFOA, pur essendo meno efficienti.